sabato 31 maggio 2008

Appunti per un racconto a cui trovare un titolo

Sei tu sul mio letto
il ricordo delle sere sulla spiaggia
film iniziati e mai finiti
forse una fine non la hanno
ne ho più di una io
ne ho in più anche per loro
e birre scure in boccali troppo grandi
vino in bottiglie troppo piccole
fra notti passate a camminare
il caldo dei tuoi seni
strane visioni
il freddo del mare
strane persone, viandanti della notte
molto meno di noi
quel viaggio fra scioperi e scarafaggi
in una stazione poco familiare
e treni merci
a squarciare la notte e il suo silenzio
siamo noi su letti di altri
fra amache e vicini rumorosi
contro muri
su spianate di cemento
in auto in zone deserte ma mai abbastanza
il giorno che nasce ad angosciare
nella notte per nulla si nota
il tempo che scorre
l'alba promemoria che la notte passata insieme
sta per finire
e i tuoi viaggi
e i miei non viaggi
fusi orari
incomprensioni come è normale
abbracci come bisogni
abbracci per aggrapparsi al salvagente che siamo
le tue mani sul mio corpo e non solo
pensieri di morte
insoddisfazione planetaria
carne sulla brace
allontani le mani dal tuo corpo
allontani le mie mani dal tuo sesso
sabbia souvenir nei nostri corpi
clessidre della nostra esistenza
amici presenti
amici andati
amici che poi "mica tanto"
sconosciuti e persone immaginarie
quel divano su cui non sono tornato
se non pieno di gin lemon
da cadavere svenuto mentre eri al bagno
e il Porto nella piscina
chissà che altro
che non ci siamo detti
che non ci diremo
che ci aspetta.

(da accompagnarsi con "Da Qui" - Album: Lungo i Bordi - Massimo Volume)

Limite e Perfezione

Ho quello che non ho avuto mai
e mi appartiene il folle pensiero di eliminarmi
qui il cielo è verde e nero
e pure io respiro gelo e cielo
poi muoio anch'io entrando in te

Qui il cielo è verde e nero
e pure io respiro gelo e cielo
poi muoio anch'io entrando in te
poi muoio anch'io entrando in te
poi muoio anch'io entrando in te

("Limite e Perfezione" - Album: Splendore Terrore- Moltheni)

L'agguato

D'improvviso il rumore della violenza
assume suadente la forma calda dell'oblio
colpi e botte sul cranio suonano di morte
e forzano la marcia vitale nel gorgo
che porta sulle rive amare dello Stige;
affluenti di caldo sangue
scendono dal volto montagna
e si fanno freddo lago scuro in terra
dove le suole s'intingono
per segnare la via della fuga.
L'agguato è fulmineo e inaspettato.
La fine perenne e attesa.

(da accompagnarsi con "Don Callisto" - Album: Requiem - Verdena)

mercoledì 28 maggio 2008

Pistola giocattolo

Ed io che ne potevo sapere che fosse una pistola finta.
Di pistole a parte quella di mio padre, svanito nel nulla, non ne avevo mai viste. Certo qualcuna nei film, ma mai da così vicino.
Fra la dozzina di persone che erano in fila per pagare alla cassa, il tipo con il passamontagna sul volto puntò quel giocattolo proprio alla tempia di Sara: vedere il suo bel viso deturpato dal panico spense tutto il resto. Io che giravo sempre con il ricordo di mio padre in testa e incastrato sotto forma di pistola nella vita dei pantaloni smisi di ragionare.
"Non vi muovete e tirate fuori tutto quello che avete" diceva il rapinatore premendole la pistola sulla tempia e trattenendo qualche ciocca di capelli neri come l'arma.
"Non vi muovete altrimenti fa una brutta fine" continuò ad urlare ammiccando a Sara. Mentre lui diceva ciò la vedevo piangere e non vedevo nessun altro intorno: solo lei, io e il ladro. E nella testa gli dicevo "Sfiorala soltanto e me la paghi" e mi dicevo "Se solo sfiora il mio piccolo amore lo uccido" come fossi John Wayne mentre nella realtà ero fermo e immobile.
Intanto che raccoglieva i soldi, orologi, collane, cellulari e altri valori in una busta di carta mi venne in mente Marie nelle serate sdraiati su un prato a parlare che mi diceva: "Fred prima o poi dovrai dirle quello che provi" e poi aggiungeva con tono nichilista "Almeno prima che uno di voi due muoia".
"Almeno prima che uno di voi due muoia"
"Almeno prima che uno di voi due muoia"
"Almeno prima che uno di voi due muoia"
"Almeno prima che uno di voi due muoia"
E Sara con la pistola alla tempia.
"Almeno prima che uno di voi due muoia"
E Sara con la pistola alla tempia.
I miei pensieri bloccati fra queste eco, in questo circolo trovarono una via di fuga nell'allarme del supermarket. La sirena non curante del terrore che aleggiava nel negozio col suo suono metallico non aveva smosso soltanto me, ma anche il rapinatore che ora era estremamente agitato, urlava ancor più di prima, bestemmiava e cercava con lo sguardo chi poteva aver attivato l'allarme. Continuava a stringere Sara al collo con un braccio e con l'altro le puntava la pistola e lei piangeva e mi guardava: tra la paura e le lacrime il suo sguardo mi supplicava di aiutarla.
Finito di raccogliere il denaro il tipo col passamontagna puntò la pistola verso la coda di gente fra cui c'ero anche io gridando le sue intenzioni: uscire e darsela a gambe.
"Voi dovete stare fermi altrimenti vi sparo" e intanto mimava la scena.
Finalmente allentò la presa dal collo di Sara e si girò ma proprio in quel momento giunsero due auto della polizia: repentinamente la strinse di nuovo, più forte di prima e si mise a gridare agli sbirri di andare via altrimenti avrebbero avuto una giovane ragazza sulla coscienza; nel dire ciò armò il cane. Nella confusione dell'azione il click dell'arma accese la mia rabbia trasformandola in follia. Il gesto fu unico e istantaneo: alzai la camicia tirando fuori la pistola e tesi le braccia davanti a me. Dagli occhi fra il passamontagna sfociò il terrore. Insieme alle parole "Lascia perdere il mio Amore" sparai cinque colpi. Sara scivolo via dalle braccia del ladro mentre questo s'accasciava a terra maledicendomi. Negli occhi di lei lo stupore rubò la scena al terrore.
Solo più tardi scoprii che la pistola era finta. Ma io che ne potevo sapere ed è così che mi ritrovo chiuso qui con voi. Mio padre diceva sempre "Le donne causano solo problemi" e nonostante tutto quello che è successo ancora non ho capito cosa volesse dire. Ma ho solo 19 anni e ancora tempo per comprendere. Così fini di raccontare il motivo per cui ero finito dentro ai miei compagni di cella.
Alla prima visita di mio fratello ancora minorenne, accompagnato da mia zia, gli confessai una cosa che lui trovò orribile ma che non era nient'altro che la verità: nell'uccidere quell'uomo provai sollievo è come se in quei cinque colpi fosse uscita la rabbia che coltivavo dentro negli anni.
Non ebbi più notizie di Sara. L'ultima volta che la vidi fu con gli occhi armati di stupore per il mio gesto.
Sono sempre stato un ragazzo timido e introverso, che parlava raramente e non aveva mai avuto una ragazza. Poi a 19 anni confessai il mio amore ad una ragazza con cinque colpi di pistola, uccidendo un uomo.

Donne, guai, pistola
Flashback
La fine dopo il flashback

(Da accompagnarsi con Funny Little Feeling - Rock´N´Roll Soldiers)

martedì 27 maggio 2008

ad ascoltare Wicked Gravity di Jim Carroll

The gravity here is just sick for revenge
It's like my lungs are filled with chains . . .
The sky seems so low,
It hasn't moved this slow
Since the virgins, since the virgins went dancing for the rain

You know the stars in the night
They're like the holes in the cave
Like the ceiling of a bombed-out church
But gravity blocks my screams
It's like an enemy's dreams
My guardians quit
They quit before they started their search

I want a world without gravity
It could be just what I need
I'd watch the stars move close
I'd watch the earth recede

I wanna drift above the borders against my will
I wanna sleep where the angels don't pass
But now my lips are blue
Gravity does it to you
It's like they're pressed against a mirrored glass

I want my will and capability to meet inside the region
Where this gravity don't mean a thing
It's where the angels break through . . .
It's where they bring it to you
It's where silence, silence can teach me to sing

I want a world without gravity
It could be just what I need
I'd watch the stars move close
I'd watch the earth recede

I wanna lay beneath these sheets and never turn blue
I wanna hold you, hold you tight but never touch
I want some pure, pure white; hey, we can nod all night
We can do it without thinking too much

I want the dilettantes and parvenues to choke on my wrists
They think the pearls I wear are pills
I want their gravity to shatter . . . but it really doesn't matter
I got something in my eye that kills!

I want a world without gravity
It could be just what I need
I'd watch the stars move close
I'd watch the earth recede

Wicked, wicked, wicked, wicked gravity . . .
Wicked, wicked, wicked, wicked gravity . . .
Wicked, wicked, wicked, wicked.

Wicked Gravity - Jim Carroll

sabato 24 maggio 2008

giovedì 22 maggio 2008

Pecora Nera

Io volevo essere Tarzan per conquistare Marinella che è bellissima. Io volevo essere Tarzan e invece sono un coniglio con una recchia arrugginita. Anche la maschera di Zorro mi poteva andare bene. Anche con quella da pirata nero avrei conquistato l’amore di Marinella che si è vestita da ballerina.

Ero più contento se pure io mi vestivo da ballerina. Anche se tutti gli altri compagni di classe vestiti da Zorro e da Pirata, da Tarzan e da tutte le altre maschere mi dicevano che ero vestito da frocio… io preferivo che ero frocio. Meglio frocio che coniglio.

Per questo che io non ci volevo andare alla festa di carnevale in parrocchia. Ma però mia nonna mi ci ha portato per forza. Si è messa le scarpe e le calze grosse della farmacia e mi ha portato in questa festa della chiesa. Mia nonna era vestita da vecchia e in mezzo a noi sembrava vestita da carnevale. Vestita con la maschera da vecchia.

E in parrocchia ci sta pure Pancotti Maurizio che è il bambino più deficiente della scuola. Si mangia la terra e c’ha i denti sporchi. E’ un deficiente mondiale. E lui si è vestito da mago. E la madre gli ha comprato questa maschera accessoriata con tutte le magie da mago, con le carte magiche che Pancotti Maurizio ti dice “scegli una carta” e poi indovina la carta. Con il cappello a cilindro che Pancotti Maurizio ci tira fuori un piccione finto e rinsecchito. Con la bacchetta magica che diventa un mazzo di fiori e Pancotti Maurizio li regala a Marinella e io gli spacco la faccia a Pancotti Maurizio se ci prova a farla innamorare di lui. E il prete quando mi vede arrivare col vestito da coniglio gli dice a Pancotti Maurizio che “l’hai tirato fuori tu dal cilindro questo coniglietto?” e tutti ridono.

E pure il prete è un deficiente.

E io me ne vado in sacrestia a schiacciare gli insetti. E io pure sono capace a mangiarmi la terra. Ma io sono capace a mangiarmi anche le formiche, le mosche e i ragni. Mi metto seduto in mezzo ai santi e alle madonne che il prete ha ammucchiato in sacrestia perché non c’entrano tutti quanti nella chiesa. E ogni tanto gli fa fare il cambio giocatori. Mette sant’Antonio col diavolo che lo tenta e leva san Giorgio che ammazza il drago. Mette san Francesco che parla col lupo e leva san Rocco che parla col cane. Leva qualche santo e lo manda in vacanza in sacrestia.

Io mi guardo questi pupazzi e non ci credo che sono santi. Mi sembrano preti giganteschi mascherati da santi di carnevale con l’aureola di fil di ferro. L’aureola finta come il filo di ferro che sta dentro alla recchia mia di coniglio. E in mezzo a tutto questo squadrone di celebrità della chiesa mi compare Marinella vestita da ballerina. Marinella che pure lei sembra una santa anche se è più piccola delle statue. Marinella è una madonna tascabile. Marinella mi viene vicino e mi dice “non ce la faccio più a sopportare Pancotti Maurizio che fa le magie” e io gli dico che “Pancotti Maurizio è il bambino più deficiente del secolo!” e lei si mette a ridere. Allora io continuo e gli dico che “prendiamo Pancotti Maurizio e lo spediamo con un razzo spaziale come la cagna Laica che i russi hanno spedito nello spazio. Pancotti Maurizo finisce nel pianeta dei deficienti, ma lui è così deficiente che pure i deficienti spaziali lo prendono per deficiente e lo mettono a fare il pagliaccio nel circo spaziale. E vanno tutti al circo a vedere Pancotti Maurizio, ma nessuno vuole pagare il biglietto perché dicono che noi siamo deficienti, ma non così deficienti da pagare il biglietto per vedere quel deficiente di Pancotti Maurizio. E tutti entrano gratis. e alla fine dello spettacolo i deficienti si sentono come se sono diventati tutti professori perché in confronto a quel deficiente di Pancotti Maurizio loro sono dei geni. E allora gli abitanti del pianeta deficiente si danno il premio nobel uno con l’altro. Il sindaco dà il premio nobel di elettricismo all’elettricista, e poi l’elettricista dà il premio nobel di falegnamismo al falegname, e poi il falegname dà il premio nobel di pescivedolismo al pescivendolo, e poi…” e poi basta. Non dico nient’altro perché Marinella ride come certi animali che gli cresce un osso nel cervello e diventano pazzi. E io penso che se ride per altri cinque secondi gli scoppia la faccia.

Penso che fino adesso ho fatto il bambino comico, ma le bambine non amano i bambini comici anche se le fanno ridere. Le bambine amano gli eroi. Così decido che faccio un gesto eroico. Prendo un ragno e me lo mangio vivo mentre la guardo negli occhi. E lei si innamora istantaneamente. Adesso posso fargli tutto quello che voglio. Posso pure ruttare come un drago e leccargli la faccia che lei è completamente ipnotizzata da me. Ma lei mi precede e prima che io apro bocca infila la sua mano perfetta in un buco dove ci sta una tela di ragno zozza di polvere. Pure lei vuole essere un eroe, come me, vuole essere all’altezza della situazione. Tira fuori la mano da quel buco zelloso e se la mette in bocca e dice che “anche io mi sono mangiata un ragno!”.

Ma invece non è vero. Lei dice che se l’è mangiato, ma io lo so che è una bugia. E glielo dico incazzato che “è una bugia. non è vero che te lo sei mangiato. hai fatto solo la mossa di metterlo in bocca , ma non te lo sei mangiato. E’ una bugia. Se è vero che te lo sei mangiato dimmi che sapore c’aveva. Io me li mangio i ragni, me li mangio davvero e lo conosco il sapore . Ma tu non lo sai perché non te lo sei mangiato. E non lo saprai mai perché non c’hai il coraggio. Hai fatto per finta. Bugiarda!”. e lei rimane con la faccia immobile perché ho smascherato il suo trucco meschino. Così mi alzo di corsa e vado a cercare un ragno, lo strappo da una ragnatela e gli dico “mangiati questo! fammi vedere che te lo mangi”.

Marinella prende il ragno vivo per una zampa e manco lo guarda, perché mi sta a guardare a me. Mi guarda negli occhi con la faccia impunita come se sono io il ragno che tiene appeso per una zampa. E io dico che mai più nella storia si ripeterà che una mano così perfetta e pulita stringe la zampa di un ragno tanto sporco e peloso. Marinella apre la bocca e stringe i denti su quel ragno. Stringe i denti senza chiudere le labbra, per farmela vedere in diretta la morte del ragno stritolato. E quando ripenso a ’sto fatto mi pare di risentire la crosta del ragno che scrocchia tra i denti di Marinella.

Si ingoia quella carcassa tritata e io sono felice perché adesso anche Marinella è un eroe. Adesso io e lei siamo come Batman e la donna-gatto, siamo due robot atomici indistruttibili. Due bambini bionici. Poi mi accorgo che lei non ha più smesso di guardarmi dal momento in cui ho denunciato la sua truffa. Adesso sta ferma con gli occhi sbarrati , ma non è più ipnotizzata d’amore per me. Ha incominciato a guardarmi come mi guarda mia nonna quando sta per menarmi… ma poi non mi mena perché gli faccio pena. Mi dice che “potevamo stare insieme per sempre , e invece tu hai fatto a pezzi il nostro amore. Io ti avrei amato fino alla morte. Ci avrei fatto i figli con te e li avrei cresciuti pure nella povertà. Sarei invecchiata accanto a te spartendo ogni cosa, mezza pizza bianca ciascuno, mezzo cremino Algida, mezzo bicchiere di latte macchiato. Ti avrei ricordato di prendere le medicine e ti avrei pure baciato sulla bocca davanti a tutti. E’ vero che era una bugia. E’ vero che non me lo ero mangiato il ragno, ma tu perché non mi hai creduto? Era davvero così importante che mangiavo quella bestia pelosa? Tu dovevi credermi pure se non era vero, tu dovevi credere a me. Credere in me. E io ti avrei scelto per sempre. Invece adesso non lo so più se ti scelgo… Pancotti Maurizio ci avrebbe creduto. Ci avrebbe creduto perché è un deficiente.

I deficienti credono a tutto.”

Ascanio Celestini


Donne, guai, pistola

"Le donne causano solo problemi" così diceva nostro padre sospirando dopo che aveva chiuso la porta per fare uscire una delle sue tante amichette. Io e mio fratello spesso ci domandavamo se fossero veramente sue conquiste oppure professioniste del sesso, insomma puttane. "Le donne causano solo problemi" così diceva nostro padre sospirando dopo che era stato con uno di questi "esemplari", come le chiamava lui, e poi aggiungeva "Vostra madre non era una donna, era un angelo e in quanto angelo è dovuta tornare in cielo". Quella frase, detta con un tono di voce alla Clint Eastwood, a me e Fred suonava strana forse perché eravamo troppo piccoli per conoscere le donne o forse perché in quelle parole vedevamo un forte controsenso visto che nostro padre ne frequentava parecchie. Fatto sta che su questa frase restò un certo alone di mistero: io e mio fratello non ne parlammo mai fino a quando nostro padre sparì.
Avevo 12 anni e mio fratello 15, ci svegliammo una mattina e scendendo le scale in legno per andare a fare colazione trovammo un biglietto sul tavolo. Non lo leggemmo subito, intenti nel saziare la fame che era montata nel sonno e credendo che fosse uno dei tanti biglietti che ci lasciava Lui, lo lasciammo lì e solo dopo aver fatto tappa al bagno ed esserci vestiti e preparati per la scuola, prima di uscire dalla porta Fred lo prese in mano e lo lesse. Iniziò ad alta voce, leggendolo anche per me, ma dopo poche parole la sua voce si fece più fioca fino a svanire ma lui continuava a leggere e i suoi occhi inseguivano quelle parole scritte a penna su un tovagliolo di carta. "Fred? che dice il babbo?" non rispose, allora quasi urlando "Fred!?" non ottenendo ancora risposta domandai di nuovo "Insomma si può sapere che c'è scritto?" questa volta la mia voce gli fece alzare lo sguardo, ma non guardò me, guardò lontano fuori dalla finestra che dava luce alla cucina e poi come un tuono fece "Chiudi quella porta". Senza capire il perché eseguì il suo ordine e mi avvicinai a lui che gettandomi addosso il tovagliolo scostò la sedia e si sedette. "Non tornerò per pranzo e neanche per cena, sinceramente credo che non tornerò per molto anzi per dirla tutta non tornerò mai. Siete abbastanza grandi per badare a voi stessi". Chiusi il tovagliolo nel pugno e senza capire picchiai sul tavolo. Il colpo fece sobbalzare Fred che s'alzo ed uscì in giardino. Io derubato delle forze dal dolore mi gettai sul divano cercando di capire. Mentre sdraiato io cercavo di accalappiare le ragioni di mio padre, mio fratello aveva tirato fuori dalla casetta degli attrezzi il taglia erba e dopo averlo riempito di cherosene e averlo messo in moto si mise a portarlo a spasso per il prato. Io lo vedevo passare nella vetrata della porta, avanti e indietro, indietro e avanti fin quando due uomini vestiti di nero non lo interruppero: parlarono con lui e se ne andarono. Mio fratello riprese ma quasi subito si dovette fermare di nuovo per parlare attraverso il finestrino di una volante della polizia con un uomo in divisa. Come seccato da queste interruzioni ripose il taglia erba nella casetta e rientrò in casa sparendo su per le scale. Il tempo passò rapidamente e venne l'ora di pranzo: io non avevo fame e probabilmente neanche Fred visto che non scese. E non scese neanche per cena, così preparai alcuni toast e con un piatto salì le scale lentamente guardando le foto di nostro padre appese lungo la rampa. Finiti i gradini e finite le foto entrai in camera poggiando il piatto sul tavolo. Fred non si mosse dal letto e non parlò. Presi il piatto di nuovo e porgendoglielo dissi "Mangia" e lui fece quel che da mio fratello non mi sarei mai aspettato: mi ringraziò e mangiò. Finito l'ultimo boccone ruppe il silenzio che durava dal mattino "Cosa significa: le donne causano solo problemi?". Non sapendo cosa rispondere alzai le spalle e vi incastrai la testa. Lui ripete la stessa domanda senza cambiare una parola o intonazione e non avendo risposta si alzò per chiudere la finestra in legno e tornò sul letto.
I giorni che vennero furono un susseguirsi di visite. Dal piccolo viale che tagliava il giardino in due arrivarono un fiume di persone e tutti chiedevano di nostro padre e nessuno chiedeva di noi. Così venimmo a scoprire che il signor Lorentz, così tutti chiamavano nostro padre, aveva fatto sparire una montagna di soldi dall'azienda di cui era amministratore e come se non bastasse aveva chiesto un grosso prestito ad una banca e poi si era volatilizzato. Una sola persona si preoccupò di noi: nostra zia, la sorella di mio padre. La sera prima che ci trasferimmo da lei Fred si mise a frugare nella camera di mio padre. Prima sparì sotto il letto ancora disfatto con il cuscino che sporgeva dalla federa bianca e la coperta gettata in terra, poi si lanciò nell'armadio a 4 ante rovistando nelle giacche e nei pantaloni e facendo suonare le stampelle fra loro. Quando riemerse dall'armadio andò a frugare nei comodini, è lì che la sua curiosità fu appagata: si voltò verso di me puntandomi una pistola. Impallidì. Solo quando il viso cupo di Fred si accese in una risata ripresi colore. Da quel giorno mio fratello non si staccò mai più da quella pistola.

Flashback
La fine dopo il flashback

(da accompagnarsi con "Follow The Cops Back Home" - Album: Meds - Placebo)

mercoledì 21 maggio 2008

La fine dopo il flashback

Ora sono fuori dal mondo, perché certi motel non fanno parte del mondo: prendi le chiavi, apri la tua stanza e la porta non è altro che un varco per un'altra dimensione, odori che non esistono nella vita reale, colori che collocano il tempo a vent'anni prima spalmati sulle 4 pareti a righe, luci che rendono l'aria fumosa anche se non c'è fumo, lenzuola e coperte hanno fantasie improponibili, sbiadite dal tempo, il cuscino ha una consistenza irregolare e tutto sembra venire da lontano.
In questo angolo d'universo i muri sono leggeri e la strada con le sue auto, in verità poche, e i suoi camion entrano da ogni fessura; nella stanza accanto qualcuno sta usufruendo dei servizi di una prostituta, lo capisco dalla voce di lei. Io accendo la Tv, così per aggiungere altri suoni a quest'universo parallelo e cerco notizie dell'omicidio sui telegiornali . La televisione sembra una finestra aperta sul mondo reale. A questo pensiero rido, rido ad alta voce quasi per fare sentire che ci sono anche io nel motel: "La Tv una finestra sul mondo reale bella questa". Finalmente su un canale parlano di me: la telecamera traballante inquadra il cadavere a terra mentre un uomo in divisa ne traccia i contorni. Fuori il fiume di gente è stato interrotto da due dighe fatte di nastro giallo teso per non far avvicinare curiosi e fra l'apertura del Mar Rosso il capo della polizia spiega al giornalista come è avvenuto l'omicidio e racconta di me, del silenziatore, della donna, di come sia riuscito a non farmi notare...parlano di me: getto il telecomando sul letto e apro l'acqua della doccia e un altro suono s'aggiunge all'orchestra ma in quel momento sento una stonatura: "L'assassino è stato preso a qualche isolato dal luogo dell'omicidio". Così sorpreso scopro che ora non parlano di me. Mentre mi spoglio pendo dalle labbra del poliziotto che spiega come è stato facile catturarmi, ma io non sono stato preso e mi domando chi abbiano arrestato. Dopo un primo momento di stupore un sottile ghigno mi si disegna sul volto. Finisco di spogliarmi ed entro nella doccia. L'acqua che mi cade addosso cancella tutti gli altri suoni: assolo di doccia. Un assolo di 3 minuti e poi chiudo l'acqua. Prendo un asciugamano e dopo una rapida passata me lo lego intorno alla vita. Intorno solo il rumore della Tv che spengo. Silenzio. Sovrappensiero mi guardo intorno poi riemergo e torno alla realtà e realizzo che l'orchestra ha smesso di suonare: nessuno più fa sesso, nessun'auto sulla strada, nessuna voce. Così scosto leggermente le tende e vedo un uomo correre con una valigia in mano fuori dalla visuale che concede la finestra e vedo la strada vuota e sulla strada solo il calore che distorce l'immagine.
A questo punto capisco. Corro indietro nel bagno, apro la piccola finestrella in alto sopra il lavandino e vedo due auto della polizia. Tra una bestemmia e lo stupore realizzo di essere circondato: il motel è stato sgombrato e la strada chiusa. L'orchestra ha finito il suo pezzo esce dal palcoscenico e ora si prepara una band heavy rock armata di fucili, pistole, e gas lacrimogeni. Aspetto. E aspetto veramente poco: da un megafono il più classico degli hollywoodiani "Ti abbiamo circondato! esci fuori con le mani in alto!". Tiro fuori da sotto il letto la mia borsa, la apro e prendo la pistola, le levo il silenziatore e penso alla notizia falsa della cattura dell'assassino. Sapevano che ero qui. Come facevano a saperlo non so. "Esci fuori con le mani in alto...fra 60 secondi faremo irruzione" la band sta finendo di sistemare i propri strumenti e io solista con in mano la mia pistola la guardo. "Hai ancora 30 secondi per arrenderti". "20". "10". "Stiamo venendo a prenderti". Parte la musica: li sento correre tutti insieme, poi alcuni si fermano e altri continuano.
E io con la mia pistola voglio la scena tutta per me. Apro la bocca, vi infilo la canna e suono il mio requiem. Requiem della stanza 36. La stanza ora ha colori reali: il colpo di pistola ha aperto uno squarcio di comunicazione tra la realtà e l'universo parallelo del motel. Sangue e cervella hanno i colori del mondo di fuori. Il mio corpo coperto solo dall'asciugamano ha, i colori del mondo vero ma fra poco svaniranno. Il mio assolo non ha interrotto il pezzo della polizia che sfonda la porta ed entra. Il mio corpo esanime lo interrompe. "Stanza 36 sgombra" e finisce tutto qui.

Flashback


(da accompagnarsi con "Confessioni di un Cuoco Criminale" - Album: Disconoir - Gatto Ciliegia Contro il Grande Freddo)

domenica 18 maggio 2008

Quando sarò capace d'amare

Quando sarò capace d'amare
probabilmente non avrò bisogno
di assassinare in segreto mio padre
né di far l'amore con mia madre in sogno.

Quando sarò capace d'amare
con la mia donna non avrò nemmeno
la prepotenza e la fragilità
di un uomo bambino.

Quando sarò capace d'amare
vorrò una donna che ci sia davvero
che non affolli la mia esistenza
ma non mi stia lontana neanche col pensiero.

Vorrò una donna che se io accarezzo
una poltrona, un libro o una rosa
lei avrebbe voglia di essere solo
quella cosa.

Quando sarò capace d'amare
vorrò una donna che non cambi mai
ma dalle grandi alle piccole cose
tutto avrà un senso perché esiste lei.

Potrò guardare dentro al suo cuore
e avvicinarmi al suo mistero
non come quando io ragiono
ma come quando respiro.

Quando sarò capace d'amare
farò l'amore come mi viene
senza la smania di dimostrare
senza chiedere mai se siamo stati bene.

E nel silenzio delle notti
con gli occhi stanchi e l'animo gioioso
percepire che anche il sonno è vita
e non riposo.

Quando sarò capace d'amare
mi piacerebbe un amore
che non avesse alcun appuntamento
col dovere

un amore senza sensi di colpa
senza alcun rimorso
egoista e naturale come un fiume
che fa il suo corso.

Senza cattive o buone azioni
senza altre strane deviazioni
che se anche il fiume le potesse avere
andrebbe sempre al mare.

Così vorrei amare.

(Quando sarò capace d'amare - Giorgio Gaber)

E così fra odio e amore, fra pensieri, ossessioni e interferenze, canto questa canzone; senza Didì aspetto Godot...ma senza Didì non ha senso aspettare Godot non c'è più nulla che mi trattiene.

sabato 17 maggio 2008

UFO in Vaticano

Il gesuita Josè Gabriel Funes, direttore della Specola Vaticana, scrive oggi sull'Osservatore romano che si può credere in Dio e negli extraterrestri " anche se della esistenza di extraterrestri finora non abbiamo nessuna prova. "

A differenza di quella di Dio.


Copincollata da www.luttazzi.it

giovedì 15 maggio 2008

Don Chisciotte

[ Don Chisciotte ]

Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,
di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti
per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza
come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza.
Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia,
ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;
proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto
d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto:
vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso
l'ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso,
e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello,
ma un rifiuto non l'accetto, forza sellami il cavallo !
Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante
e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante,
colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte,
com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...

[ Sancho Panza ]

Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore,
contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore...
E' la più triste figura che sia apparsa sulla Terra,
cavalier senza paura di una solitaria guerra
cominciata per amore di una donna conosciuta
dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta,
ma credendo di aver visto una vera principessa,
lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.
E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,
non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere
e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini...
E' un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:
io che sono più realista mi accontento di un castello.
Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza,
quant'è vero che anch'io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza...

[ Don Chisciotte ]

Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,
solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora:
per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori
e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri !
L'ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,
anche l'anima dell'uomo ha toccato spesso il fondo,
ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa
il nemico si fà d'ombra e s'ingarbuglia la matassa...

[ Sancho Panza ]

A proposito di questo farsi d'ombra delle cose,
l'altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese
le ha attaccate come fossero un esercito di Mori,
ma che alla fine ci mordessero oltre i cani anche i pastori
era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore ?
Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore,
credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane
il solo metro che possiedo, com'è vero... che ora ho fame !

[ Don Chisciotte ]

Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista,
ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,
l'apparenza delle cose come vedi non m'inganna,
preferisco le sorprese di quest'anima tiranna
che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,
ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.
Prima d'oggi mi annoiavo e volevo anche morire,
ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire...

[ Sancho Panza ]

Mio Signore, io purtoppo sono un povero ignorante
e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente,
ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,
riusciremo noi da soli a riportare la giustizia ?
In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre,
dove regna il "capitale", oggi più spietatamente,
riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero
al "potere" dare scacco e salvare il mondo intero ?

[ Don Chisciotte ]

Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro ?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà ?

[ Insieme ]

Il "potere" è l'immondizia della storia degli umani
e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte:
siamo i "Grandi della Mancha",
Sancho Panza... e Don Chisciotte !

(Don Chisciotte - Album: Stagioni - Francesco Guccini)

mercoledì 14 maggio 2008

Attesa

L'attesa è lenta, dolcemente esiziale,
dilata il tempo da perderti.
Inesorabili le lancette scandiscono l'implacabile
e quando non le guardo retrocedono di un paio di passi.
L'attesa è fredda e ubriaca, a passi sbilenchi
cantando a voce sguaiata s'avvicina alla sobrietà.
Attendi qualcosa e
la paura che non accada blocca la ruota eterna
la speranza che presto i pensieri scendano
dall'ottovolante che corre sulle circonvoluzioni grigie del cervello
spinge il carro in avanti.
L'attesa è una chiesa silenziosa
in cui nessuno prega a parte me
sacerdote afono che dall'ambone
seguo il raggio di sole filtrato dal rosone
muoversi da una navata all'altra.
L'attesa è deprecabile ma necessaria
non tutto può avvenire allo stesso istante.
E io attendo. e la odio.

" Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità.
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti"
Il Piccolo Principe - Antoine de Saint-Exupery

martedì 13 maggio 2008

INSIEME

Portami dove c'è gente
Portami dove non bisogna parlare
Portami dove non si paga niente
Portami dove la notte non si spegne
Portami dove si vede la strada
Portami dove non conosco la strada
E fa che il giorno si dimentichi di arrivare
Portami dove è morbido
Portami dove non si sente
Portami dove non si aspetta
E fa che il giorno si dimentichi di arrivare
Portami dove non sono mai stato
Portami dove non sarei mai potuto andare
Portami dove c'è gente
Portami dove non si paga niente
Portami dove non si vede la strada
Portami dove non conosco la strada
Portami dove non si sente
Portami dove non si scende
Portami dove non bisogna parlare
Portami dove non si paga niente
E fa che il giorno si dimentichi di arrivare

(Insieme - Album: Stanza 218 - El Muniria)

sabato 10 maggio 2008

Insolito

La forza dell'indignazione aveva scosso quel flusso dei pensieri senza corpo.
Il rapimento era sbilenco e di colore indefinito.
La testa appesa.
Il tempo perso.
E un grande uncino adeguato come spina dorsale.
E in qualche istante speciale un brivido dipinse la smorfia dello sdegno, e uno schiocco alle emozioni riscaldò dal freddo.

Le narici che ingoiano nausea ed espellono fiele, gli occhi che giurano abbandono, il cervello che bolle per il fuoco in superficie: l'indignazione ha questa faccia, e indossa stivali neri come la pece... per schiacciare le tentazioni.

La malia dell'indignazione ha dunque scosso quel flusso dei pensieri senza corpo.
E un sacro paonazzo ardore ha scacciato quei colori lontani, ed ha acceso di rosso scarlatto il pulviscolo delle impressioni.

Lunghe mani bianche e sottili, nervose di candore, schiaffeggiano l'aria malata: sublima il buon gusto e s'accascia la comune opinione.

L'indignazione è rara (quella vera).
Ed io odio il carcere

("La Vampa Delle Impressioni" - Album: Cometa - Marlene Kuntz)

Bambini e adulti si incontrano al cinema

Si chiude la porta per nascondere un bacio ma la porta è a vetro e non nasconde.
Un bimbo per seguire il suo gatto cade dalla finestra per non so quanti piani e non si fa nulla, anzi si alza e balbetta "Gregory ha fatto bum": i bambini hanno la pelle dura.
E Sylvie che per un capriccio non va al ristorante con il padre e la madre, si chiude dentro casa e col megafono dalla finestra inizia ad urlare "Ho fame! ho fame!" inscenando l'abbandono da parte dei genitori: i condomini indignati le calano un cesto ricco di ogni bene. E il padre è commissario di polizia.
Si va al cinema per incontrare l'altro sesso, la propria sessualità e il cinegiornale parla di Oscàr figlio di madre francese e padre inglese che indeciso su che lingua parlare non parla, fischia; mentre si racconta di lui due ragazzi e due ragazze siedono vicini: Patrick e un suo amico le hanno invitate al cinema; il suo amico le bacia tutte e due e lui chissà a cosa pensa, forse alla mamma di un suo compagno di classe.
Il professore arriva a scuola tardi perché la moglie ha partorito ed è lui ad essere interrogato.
Poco dopo i bambini consegnano le armi senza opporre resistenza.
E la visita medica che rivela ciò che subiva Julien. Julien nuovo compagno di classe ladruncolo e ribelle.
Il discorso finale del professore e il riscatto, verso chissà cosa, di Patrick.


"Gli anni in tasca" (titolo originale: "L'argent de poche") è un film di François Truffaut.
Gli adulti non sono altro che matrioske delle proprie esperienze, quindi anche bambini.

Saccheggio di una sconosciuta

"Nella vera amicizia, quella che intendo io, le anime si mescolano, si intrecciano, si confondono l'una con l'altra in un legame cosi stretto da annullare e far dimenticare la connessione che le ha unite. Se qualcuno volesse farmi dire perché volevo bene a un amico sento che potrei solo rispondere: 'Perché era lui, perché ero io'!"
-Michel De Montaigne-

(da accompagnarsi con "Gli Amici" cantata da Guccini e Vecchioni)

venerdì 9 maggio 2008

Non ninna nanna

Dormi.
Dormi ovunque vuoi.
Ti troverò.
Ma dormi sola perché ucciderò.
Tu dormi, io mi siederò per terra per avere il tuo volto vicino, curandomi di scansare il mio nero mantello.
Curandomi di scansare i capelli dal tuo volto.
Sono sceso agli inferi prima del tempo per poi risalire.
Bisogna avere un buon motivo.
Ho dovuto rinunciare alla luce del sole per far si che un giorno questo amore non svanisse nella morte.
Il giorno e la luce sei tu.
Così tu la notte dormi.
Dormi ovunque vuoi. io ti troverò ma dormi sola. Io siederò per terra così vicino da sentire il vento del tuo respiro e se questo si trasformasse per qualche incubo in tempesta sarò lì a placarla.
Il tuo collo non ha nulla da temere.
Il tuo sangue è il mio sangue. Ma il tuo sangue è vita, il mio lo era.
Ho rinunciato alla luce del sole e al giorno solo per vedere l'alba dei tuoi occhi aprirsi al mattino e il loro tramonto alla sera.
Dormi. Non avere paura.
Chi meglio di una creatura della notte e i suoi seguaci può proteggere il tuo sonno.
Leggerò sulle tue labbra le parole dei tuoi sogni.
Pregherò il demonio per un tuo inconsapevole sorriso.
E il tuo corpo nudo sarà la seta che accarezzerò: tornerai giovane sotto le mie mani e il mio desiderio ti rigenererà.
Sarai come al solito bella.
Ti terrò al caldo.
Ti farò vento con le ali di 100 pipistrelli.
Non mi vedrai mai, sentirai la mia presenza al risveglio.
Quando avrai bisogno ti regalerò i sogni che sogni.
Vivili bene perché sono la mia vita, vivo per il tuo sonno.
Non te lo far rubare da nessuno perché ti ruberebbe la mia vita.
Hai questa responsabilità.
Tu dormi tranquilla fin quando ci son io sei al sicuro.
Io veglio su di te. Fin quando sei, sarò quasi vivo. Quando la signora di tutto verrà per te morirò di nuovo perché io non posso morire
Pregherò per il tuo paradiso, il mio inferno
Il mio egoismo pregherà per il tuo inferno, il mio paradiso.
Ma intanto dormi che il giorno si avvicina e ti aspetta.
Volo via fino al prossimo sonno.
Non aver paura.
E dormi bene.

giovedì 8 maggio 2008

Flashback


Il fiume della gente scorre veloce lungo il marciapiede e qualcuno che ha più fretta di altri cammina sulla strada e io che non ho fretta sono fermo. Il fiume scorre fra argini fatti dei mattoni degli alti palazzi che a guardarli dal basso fanno quasi impressione. Occhiali da sole ampi, giornale in mano, cappotto lungo e grigio che copre fino al ginocchio dei jeans logori, scarpe comode. Mentre aspetto non leggo il giornale ma penso. Penso a quello che devo fare e non come lo devo fare, questo lo so bene, e neanche se sia giusto o meno quello che faccio. Penso che tutto ciò mi serva per non pensare: ci sono troppe cose da valutare, elementi da considerare e imprevisti da pianificare per andare altrove con la testa, per pensare che da qualche parte c'è la mia bambina e lì con lei sua madre. Il sole sta lentamente sorgendo dall'orizzonte ma prima che s'alzi sopra questi enormi edifici ce ne vorrà di tempo e così l'aria è ancora fredda. Guardo l'enorme portone del palazzo dove sono fermo e mi domando per quale diavolo di motivo l'abbiano fatto così grande "Chi diamine sarebbe dovuto passarci?!" mi dico sottovoce, poi mi guardo intorno per vedere se qualcuno mi abbia sentito.
D'improvviso il portone si apre e così si squarciano i miei pensieri rotti dalla tensione. La mano destra mi scivola sotto il cappotto verso il petto dove dicono che ci sia il cuore.
La mano destra sembra cercare di impedire al corpo di cedere sotto i colpi ritmati del cuore. Mentre l'ingresso lentamente si apre maledico me stesso, anni di questo lavoro e ogni volta la tensione mi uccide, credo che dovrei smettere. Lo dico ogni volta e poi penso che prima o poi, per mio volere o meno, smetterò. E l'uscio s'apre completamente e ne viene fuori un'uomo ordinario. Ritorno tranquillo. Ancora fa freddo, sono quasi le otto e aspetto. Mentre aspetto facendo finta di leggere scopro che i Red Sox hanno battuto gli Yankee di New York. Mi guardo intorno per cercare di capire se ho attirato l'attenzione di qualcuno: qui ognuno pensa agli affari suoi e corre veloce dove solo loro sanno. Di nuovo il portone a spazzare via i miei pensieri. La porta s'apre lentamente e gira verso l'interno come fosse la lancetta di un'orologio, come se fosse un conto alla rovescia: meno quindici, meno quattordici, il cuore riparte la sua corsa ma con meno fatica, come se l'adrenalina di prima fosse servita da riscaldamento, meno tredici, mi avvicino al palazzo di un paio di passi rimanendo nascosto nel flusso di gente, meno dodici, mano destra sotto al cappotto e altri due passi, meno undici, mi guardo intorno e guardo in alto, meno dieci, nello spiraglio della porta vedo dei capelli lunghi e neri di donna, meno nove e la scorgo sempre meglio e salgo i primi gradini, meno otto altri gradini verso la porta e la mia bambina in testa, meno sette e la madre, meno sei faccio attenzione dove metto i piedi, meno cinque arrivo davanti al portone e lo spingo forte con la sinistra e la lancetta accelera, 4,3,2,1, la mano destra esce allo scoperto portando con se un'arma nera il cui nero è prolungato dal silenziatore.
0, un colpo al petto dove dicono che ci sia il cuore e il sangue schizza come spumante da una bottiglia stappata per il capodanno. Getto il corpo cadente nel portone. Mi volto e mentre la lancetta\porta torna indietro scendo le scale che mi riportano nel fiume di gente. Riapro il giornale sperando di coprire le macchie di sangue. Attraverso la strada e mi dirigo verso una Ford grigia parcheggiata. Apro il portabagagli e prendo la borsa e poi corro senza correre, il passo veloce che tengo mi riporta alla mente i kenyani delle maratone è allora che spero di non muovermi come loro. E poi io ho le scarpe e sono bianco. Devio la corsa sulla sinistra in una strada meno affollata ed entro nello Stryer Cafè, alzo gli occhiali da sole e mi dirigo al bagno. La zip della borsa si lamenta mentre la apro e partorisce degli abiti puliti identici a quelli di prima: entrare vestiti in un modo ed uscire in un altro avrebbè potuto attirare l'attenzione e destare sospetti. Solo la mia pistola rimane la stessa a sinistra nell'interno del cappotto. Pochi minuti, un caffè espresso e sono di nuovo fuori. "Taxi!!!". Vengo ingoiato dalla vettura gialla. E via. L'uomo alla guida mi guarda dal retrovisore e forse capisce che non ho voglia di parlare e guida. Tra traffico, semafori e vie chiuse per lavori in corso usciamo fuori dal centro. La vettura gialla mi vomita davanti ad un piccolo motel. Pago e saluto.

(da accompagnarsi con "Una Calibro 9 Per Toni Rodriguez" - Album: L'irreparabile - Gatto Ciliegia Contro il Grande Freddo)

-------------------------------------------------|Folgorazione


Capire Fontana

Provo ad essere com’ero prima
ma non ci riesco più
cerco qualcosa che mi faccia addormentare
in pieno giorno
ma tu svegliami se puoi
è tardi e devo ancora capire
svegliami se puoi...
Nei sogni questa notte
c’erano ancora voci
che io temevo e che ferivo
ed io nascosto in un hotel
perché la gente ha paura di me
forse sono violento e pericoloso
e allora è meglio che io dorma
o che faccia quello
che mi viene da fare
creando un vuoto fra noi
i miei nuovi problemi:
Capire Fontana, lo spazio
e come fare a meno
e non desiderare mai
Capire Fontana, lo spazio
e come fare a meno.
Svegliami se puoi
è tardi e devo ancora capire
Spiegami se puoi
perché la gente ha sempre paura
Svegliami se puoi
è tardi e devo ancora capire
Spiegami se puoi
perché io adesso forse ho paura di...
Capire Fontana, lo spazio
e come fare a meno
e non desiderare mai
Capire Fontana, lo spazio...

(Capire Fontana - Album: Hotel Lamemoria - Tibe)

mercoledì 7 maggio 2008

Legno

Monolocale con bagno e cucina e un letto matrimoniale a rubare spazio.
Sdraiati sul letto noi e tutto intorno il buio. Ma non solo buio: il soffitto in legno scricchiola stringendosi nel freddo della notte dopo il caldo del giorno come a sottolineare il calore che c'era fra noi e il gelo attuale. E non solo buio e legno scricchiolante ma anche musica, leggera, soffice appena udibile con una voce calda e clemente che biascica parole che più o meno dicono "Ma se mi stacco da te mi strappo tutto ma il mio meglio, o il mio peggio ti rimane attaccato, appiccicoso come un olio denso".

Ora sto ascoltando quella canzone sdraiato in questo letto singolo dove non sarei mai dovuto arrivare. Dalla macchina sulla strada guidando ho visto l'insegna di questo albergo: Shalimar Hotel. Proprio come la canzone che ora ascolto su questo letto singolo nella luce del giorno e sotto questo soffitto bianco di mattoni. E ricordo. Ricordo di noi in quella casa, ricordo come andò quella sera e come andarono tutte le altre.
Si fa notte ma le serrande non le abbasso "Che sia il sole a svegliarmi domattina" penso. E intanto ricordo. Guardo i pochi mobili della stanza e nessuno mi parla di quella casa. Nessuno a parte un quadro che ritrae una donna che riposa su un'amaca.
Dormo e riposo anche io. Arriverò in ritardo. Ma riposato.

(da accompagnarsi sorprendentemente con "Il Punto Sulla Vita" - Album: Hotel Lamemoria - Tibe)

Ars Aruspicina

"...Lo sapevi che dovevamo finire cosi, dio mio e non so correre nella notte senza meta, senza una luna e tu che inventi fantasmi e spettri per farmi urlare di rimorsi nell'oscurità..."

("Dio Mio" - Il Teatro Degli Orrori)

La fine è qualcosa di superfluo da pronosticare. Meno futuribile è il "quando, come e perché".
QUANDO:
addirittura ci si trova sulla linea del traguardo senza accorgersene; magari si era appena partiti oppure si viaggiava da tempo immemore e Fine. Niente nastro da tagliare, c'è sempre qualcuno che arriva prima di te.
COME:
come...
In ogni modo. Sinceramente preferisco fini cruenti e spettacolari, adoro il colpo di scena, il teatrale. Quando è possibile e il budget lo permette il finale del film ha i suoi effetti speciali.
Comunque: in ogni modo.
PERCHE':
il perché è il punto più ostico. Ad un primo sguardo può sembrare semplice e banale:
"Perché?"
"E' arrivato il momento di farla finita"
Il "perché" è sempre che è arrivato il momento di farla finita ma questo richiama senza via di fuga il "QUANDO" introducendoci in un vortice vizioso. Il "perché" ben definito e certo ("è arrivato il momento") sfuma nel "quando" maledettamente vago ed indeterminato.

...e io sono un aruspice...

(Da accompagnarsi con "Dio Mio" - Album: Dell'Impero Delle Tenebre - Il Teatro Degli Orrori)

Samuel Finley Breese Morse La Mela

Samuel Finley Breese Morse (Charlestown, 27 aprile 1791 – New York, 2 aprile 1872) è stato un inventore statunitense; è conosciuto per aver inventato insieme con un altro inventore americano, Alfred Vail, il telegrafo elettrico e il relativo alfabeto (o Codice Morse) che da lui prende il nome.
Il codice Morse è una forma di comunicazione digitale, tuttavia diversa dai moderni codici digitali binari che usano solo due stati (comunemente rappresentati con 0 e 1), il Morse infatti ne usa 5: punto (•), linea (—), intervallo breve (tra ogni lettera), intervallo medio (tra parole) e intervallo lungo (tra frasi).

Persone sconosciute parlano lingue diverse nonostante parlino la stessa lingua. Prima che si raggiunga un'efficace comunicazione c'è bisogno di un tempo X in cui, grazie a fraintendimenti e malintesi (misunderstanding) , si raggiunga una giusta interpretazione non solo delle singole parole e delle frasi ma soprattutto delle intonazioni e inconsciamente della comunicazione non verbale.
Il codice Morse complica tutto. Come tutti i mediatori della trasmissione di un messaggio il Morse complica tutto e riempie la comunicazione di artefatti. Come se già non fosse difficile comunicare.
Lingue diverse e io il morse non lo capisco.
Il Morse al massimo può essere un ritmo sul quale, se sono in vena, muovermi come uno scemo. La cosa interessante è come una cosa che ritenevo di poca importanza all'improvviso si possa caricare di valori emotivi.

Dimenticavo -. --- - - .


(Notizie su Morse e il suo codice tratte da Wikipedia)

lunedì 5 maggio 2008

Qualcosa in comune

"La sparizione delle sagome dei camerieri fuori dai ristoranti non è avvenuta in una data precisa sono cose che misteriosamente accadono..."

(Cinnamon - Offlaga Disco Pax)

Le cose accadono. Più o meno tutte. Anzi tutte: anche quelle che vengono soltanto immaginate succedono nella testa di chi le pensa (a volte può causare dei problemi).
Le cose accadono più o meno tutte, anzi tutte, ma non sempre ce ne accorgiamo, magari distrattamente un giorno sentendo una canzone t'accorgi che fuori dai ristoranti non ci sono più quelle sagome che ritraevano abili e attenti camerieri, camerieri che ti accoglievano sorridenti all'ingresso e ugualmente sorridenti ti salutavano dopo il pasto. Noto questa cosa e resto sorpreso di non essermene accorto prima. E cerco di fare più attenzione.
Faccio attenzione e...
Pensavo di essere sazio e di non avere fame poi ho visto una torta e ho capito di non esserlo.
Sono come un bimbo che fa i capricci davanti ad una vetrina e non so neanche se la torta è buona; essendo un bimbo non capisco il valore dei soldi e di conseguenza non so se posso permettermela.
Le sagome dei camerieri fuori dai ristoranti e la mia sazietà entrambe sparite e per entrambe non mi ero reso conto di nulla.
Le sagome dei camerieri fuori dai ristoranti e la mia sazietà hanno qualcosa in comune, mi risulta strano dirlo ma è così.

sabato 3 maggio 2008

Se piove...

Se stai scivolando
allora scivola per bene
con impegno cadi giù
e non ti aggrappare a niente
tocca terra
se qualcuno ti ha ferito tu parla con lui
sbattigli il cuore in faccia
non evitarlo perché hai bisogno di un'altra ferita
ma soprattutto se piove non aprire l'ombrello
aspetta il tuo giorno di sole non puoi fare di meglio

se ami una donna
cercane un'altra da non amare
ti sentirai meno fragile
e più capace di amarle allo stesso identico modo
se ti sfugge il motivo
e la ragione delle cose
molto probabilmente
c'è un motivo e c'è una ragione ma non fanno per te

ma soprattutto se piove non aprire l'ombrello
aspetta il tuo giorno di sole non puoi fare di meglio

se ascolti una canzone
sai bene quando è vera
e quando certe volte
è solo un pretesto per fare vibrare l'aria

ma soprattutto se piove non aprire l'ombrello
aspetta il tuo giorno di sole non puoi fare di meglio.

Max Gazzè

venerdì 2 maggio 2008

Super Mario

Quando anche giocare a Super Mario diventa uno strazio significa che c'è qualcosa di strano.
Accendo cerco il salvataggio da caricare e non c'è: sgomento! e poi ricordi.
Pensieri.
Inizio a giocare dal principio...supero abilmente i primi livelli tra funghetti fiori e tartarughine varie e giungo ad un quadro dove il terreno è fatto dalla testa dei funghi che fungono da tappeti elastici: avanzo, lancio palline infuocate rimbalzanti e poi ricordi
E mi getto in un precipizio tanto per averti vicino.
E sbaglio dove sbagliavi per avere le tue mani su quel gioco.
Spengo.
Quando anche giocare a Super Mario diventa uno strazio significa che c'è qualcosa di strano.
Ora andrò in spiaggia, lì Super Mario non dovrebbe seguirmi.
Lì ci sono granelli di sabbia a cui pensare e onde che vanno via da ricordare.

giovedì 1 maggio 2008

Due piedi

Solitamente i miei pensieri vagabondano da una strada all'altra e ora che non possono perché rinchiusi da un provvedimento coatto, la necessità del movimento è acquisita dal corpo. Spiagge desolate con onde silenziose, un cielo infinito e le stelle che senza successo cercano di disegnargli un limite, una strana luna.
Solo le forze dell'ordine nei panni di due carabinieri sembrano notarmi ma probabilmente capiscono anche loro che è meglio lasciarmi stare.