Non so.
Devo essere sincero: non ho idea di come mi ritrovai lì.
"Lì" è con le spalle davanti la porta d'ingresso di un Grand Hotel nel versante interno.
Come facevo a sapere che fosse un Grand Hotel? mi bastò dare un'occhiata all'ambiente.
Moquette rossa ovunque neanche avessero sgozzato mille maiali e fatto scorrere il loro sangue in quella hall. Colonne di marmo gelido per raffreddare il fuoco del pavimento.
Lo sguardo attraversando l'ampio salone arrivò al bancone della reception: un pezzo di legno unico, chiaro, ricavato da chissà che specie di albero. Poggiati sopra gli oggetti che ci si aspetta di trovare ad una reception: una targa d'orata su cui è inciso "reception" come a dire "se qualcuno non l'avesse capito...", depliant vari, penne di un certo valore legate da piccole catene che le davano l'aspetto di biro da quattro soldi. Io fossi un cliente di un albergo di questo calibro mi sorprenderei nel vedere queste catene: "posso permettermi un posto simile e avete paura che rubi una penna da un centinaio di euro?". Dietro al bancone, appeso al muro il casellario.
Ai lati della reception due librerie spropositate per dimensioni e all'ombra di queste tavoli e poltrone dove leggere e sorseggiare il tè fornito dal bar posto nell'angolo Nord-Est. Alla mia destra divani e tavolini bassi con i maggiori quotidiani nazionali e varie riviste patinate; su questi divani erano parcheggiati gli ospiti appena giunti e insieme a loro i bagagli; i facchini correndo da una parte a l'altra della hall caricavano le valigie su carrelli portandole chissà dove. Vicino al bar sulla parete Est un arco bucava la parete dando accesso al ristorante che a quell'ora era ancora chiuso. Le pareti libere non erano vuote ma imbrattate da dipinti. Il soffitto affrescato con scene tratte dalla Bibbia reggeva lampadari posti ad intervalli regolari.
Di fronte s'alzava un'imponente scalinata anch'essa ricoperta da un tappeto rosso e poco di lato, quasi nell'ombra, due porte che stonavano con l'ambiente ricco e sfarzoso e apparivano misteriose ad una prima occhiata.
La parete alle mie spalle e la porta dalla quale entrai non le ricordo.
Fin qui si potrebbe dire "Nulla di strano" ma lasciatemi raccontare.
In questo ambiente si muovevano varie persone ma subito la mia attenzione fu presa da qualcosa che ha dell'incredibile: uno spazzolino da denti si aggirava per la hall ondeggiando delicatamente prima dall'alto verso il basso, poi muovendosi in orizzontale e a tratti in modo circolare. Questo spazzolino fluttuava a circa un metro e sessanta dalla moquette fin quando non si avvicinò al bancone della reception e iniziò a suonare il campanello. Inizialmente il suono si proponeva solo di
attirare l'attenzione del portiere di turno. Dopo un paio di secondi l'uomo in divisa dietro al bancone si girò e a quel punto chiamarlo ancora "uomo" mi risultò difficile: il soggetto in questione aveva scambiati gli occhi con i padiglioni auricolari e al centro della faccia vi era una piccola proboscide al posto del naso che ad una seconda osservazione si scoprì essere niente di meno che un cazzo. Lo spazzolino comunicava con il tale della reception alternando sulla campanella suoni lunghi a suoni brevi: con mio profondo stupore la faccia di cazzo lo capiva e con una bocca normale rispose di accomodarsi e aspettare pochi minuti. Dietro il portiere il casellario sul quale non erano poggiate normalmente le chiavi delle stanze ma piccioni. Ai clienti entrando nella hall bastava chiedere la propria chiave che il volatile con rispettivo numero s'alzava in volo accompagnando l'ospite alla porta della stanza.
Intanto lo spazzolino riprese a vibrare e muovendosi a mezz'aria fece per andare sui divani posti alla destra dell'ingresso ma una manata rapida e decisa lo prese. La mano in questione apparteneva ad una donna bionda con un ampio ciuffo frontale, labbra rosse fuoco con un neo che le accompagnava poco più in alto a sinistra, quasi sulla guancia, sguardo caldo con ciglia teleferiche, spalle appena coperte da una pelliccia bianca che lasciava intravedere buona parte del seno e della sua pelle candida. Sotto la pelliccia un vestito rosso in tono con le labbra la cui gonna arrivava alle ginocchia. Lo spazzolino da denti dopo essere stato preso iniziò a dimenarsi; lei tenendolo saldo gli girava intorno del nastro adesivo arancione: senza troppa fatica fu ricoperto tutto, a quel punto le dimensioni ne risultarono quintuplicate mantenendo comunque le iniziali proporzioni. Nonostante le sue condizioni lo spazzolino continuava a muoversi quasi con rabbia. A questo punto la donna s'alzò la gonna, rivelando l'assenza degli slip, divaricò leggermente le gambe flettendole un poco e fece sparire lo spazzolino fra le cosce, poi come se nulla fosse accaduto lasciò tornare la gonna al suo posto e si andò a sedere sui divani con un sorriso per metà folle e per l'altra metà compiaciuto.
Seguendo i movimenti della donna mi accorsi che i dipinti alle pareti erano vivi: gli affreschi si muovevano, gesticolavano sembravano parlare fra di loro ma nessun suono veniva da quei muri. Avvicinandomi per osservare meglio notai delle piccole cuffie appese sugli affreschi: ne presi un paio in corrispondenza di un San Sebastiano e lo sentii bestemmiare e imprecare legato a quella colonna, con lo sguardo verso il cielo. Spostandomi poco a destra "La Libertà che guida il popolo" correva e dalle cuffie si poteva sentirla maledire i suoi inseguitori che a loro volta le intimavano di fermarsi così che potessero scannarla. Posai le cuffie e cercai di non guardare più le pareti.
Dal soffitto pendevano lampadari a "goccia"... nel vero senso della parola perché la loro struttura non era null'altro che dei piccoli tubi che perdevano acqua dando vita a gocce di dimensioni incredibili che poi cadevano in un piccolo bacino. All'impatto con l'acqua sottostante queste gocce alzavano delle sottilissime colonne d'acqua che arrivavano a toccare il soffitto e che attraversate dalla luce delle fiaccole poste al di sopra della struttura tubolare per pochi attimi producevano
piccoli arcobaleni in ogni angolo della stanza.
Inutile dirvi che anche il bar fosse strano. Qui ogni liquido versato vincendo la forza di gravità si rovesciava verso l'alto: il barman riempiva i bicchieri tenendoli capovolti e poi li lasciava andare in acrobazie varie, il tutto nella più totale tranquillità, come se fosse normale. Anche la macchina del caffè sputava fuori la bevanda verso l'alto dove erano fissate le tazzine.
Più di tutto mi sorprese la scalinata che di per se non aveva nulla di strano. Sui gradini vi erano diverse persone: chi seduto, chi sdraiato, chi in piedi, tutte con toghe e tuniche colorate non certo di quest'epoca. Mi avvicinai alla gradinata e sul primo scalino seduto c'era un tipo vestito in marrone con la testa pensante appoggiata sul pugno e nell'altra mano una matita. Ai lati due gruppi di persone intente a parlare, a scrivere, a declamare poesie. Qualche gradino più su un tipo piccolo di statura stravaccato a terra. Evitato questo salii altri gradini fino ad arrivare al pianerottolo dove c'era molta più gente che circondava due figuri vestiti meglio degli altri e che avevano un'aria saccente. Chiesi ad uno chi fossero e lui mi rispose stupito che io non conoscessi l'identità dei due: "Platone e Aristotele". Aristotele e Platone con la loro aria da divi e il loro modo di parlare come se avessero in mano la verità assoluta non mi risultarono molto simpatici: mi lasciai andare in una sonora pernacchia. Terminata la mia performance sonora una delle due porte a lato della scala si aprì e ne venne fuori un faccione barbuto con baffi e mosca, pochi capelli unti e arruffati, sopracciglia inarcate e occhi a palla tenuti nelle orbite da borse e occhiaie considerevoli - STOP! - Gridò. - POTETE ANDARE ABBIAMO FINITO -
...e per fortuna che il ristorante fosse chiuso...
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