martedì 5 marzo 2013

Scarabocchi



Piove. Una pioggia fitta che per essere attraversata ha bisogno del movimento di un braccio, tipo quello che si fa scostando le tende. Ci siamo dati appuntamento al punto di ritrovo standard che ogni città ha. So che tarderà, ma arrivo comunque puntuale. E lei arriva leggermente in anticipo sul ritardo che avevo preventivato: quindici minuti. I nostri ombrelli si urtano, io sollevo il mio sopra il suo, scosto la tenda di pioggia e, fingendo un balzo, passo sotto il suo, poi la saluto.
Siccome già so che presto andrò nel pallone, mi sono messo in mente dei punti che messi insieme dovrebbero realizzare una sorta di tattica.
Punto 1: fase preparatoria. Entrati nel locale fingere galanteria, prenderle il cappotto e riporlo con attenzione distante da lei.
Punto 2: mentre ci si prepara per uscire, prendere il suo cappotto, fingere di nuovo galanteria e aiutarla a indossarlo.
Punto 3: bacio sulla spalla, sperando che il vestiario lo permetta, e, se ci si riesce, risalire verso il collo.
Entriamo nel locale. Metto in atto il punto 1. Lei mi sorride e ho come l’impressione che con gli occhi mi dica “Guarda ti ho capito…” ma non può essere così. Distolgo il mio sguardo da lei e mi siedo.
Il Punto 1 è fatto. Segno.
E il suo maglione sembra fatto apposta per il Punto 3. 

Birra. Chiacchiere. Andiamo?

È arrivato il momento di andare. Mi alzo di scatto, con un balzo innaturale come se la pelle della poltrona sulla quale ero seduto fosse improvvisamente diventata incandescente. Lei mi guarda con aria interrogativa per qualche secondo e poi pensa ad altro. Io prendo il suo cappotto per il bavero e glielo porgo per farglielo indossare. Con galanteria. Lei indossandolo mi volta le spalle. E arriva il momento del Punto 3.

Ora, non è come spesso dicono: il tempo non si rallenta e tutto sembra dilatato. In una situazione “do or die” come questa, la sensazione è piuttosto quella di scivolare da un dirupo. Se ce la fai, all’ultimo momento riesci ad aggrapparti a un ramo. Altrimenti “splat”. 

Quindi le bacio la spalla. Seguo attentamente il Punto 3, come se questo fosse stato studiato e preparato con rigore scientifico. Al contatto delle mie labbra, la sua pelle si è tesa all’istante. Panico. Poi si rilassa. Rincorato, provo a osare e salgo dalla spalla verso il collo a passi di baci e piccoli morsi. Arrivo al collo e lei si volta d’improvviso. Ha la faccia arrabbiata ma non è questo che mi preoccupa. La sua mossa repentina ha scatenato in me un riflesso protettivo che provo con tutte le forze di bloccare. Immaginate la vostra faccia mentre provate a trattenere uno starnuto. Ora immaginate me che cerco di impedire al mio riflesso di farmi raggomitolare a palla, in difesa della mia integrità fisica. Uno sforzo sovrumano. Mentre io mi impegno a rimanere in una posa onorevole, lei mi dice “Ce l’hai fatta finalmente!” e mi bacia.
Le endorfine liberate dal bacio, lo sforzo per trattenere il riflesso e il calo dei livelli di adrenalina stanno per farmi collassare. La invito a uscire. L’aria fresca mi terrà in piedi.

Usciti, in effetti, il freddo ha fatto sì che quasi istantaneamente mi sia ripreso e lei non si è accorta di niente. Almeno credo. Quindi? Dove eravamo rimasti? Ah! “Che significa ‘finalmente ce l’hai fatta”. Lei si mette a ridere, ma non per schernirmi, devo aver fatto una faccia strana. Risponde immediatamente: “Beh non è la prima volta che usciamo…”. “Aspetta. Ho capito dove vuoi andare a parare. Ascoltami: per far sì che due persone si bacino c’è bisogno che entrambi lo vogliano. Ok?”. “Ovvio”. “È chiaro che vi sono significative eccezioni, significative a livello penale intendo. Ora, parliamo ipoteticamente: io voglio baciarti, ma non so cosa ti passa per la testa. Se ci provo casco dal dirupo: se mi va bene e riesco ad aggrapparmi, altrimenti, non solo devo sopportare l’umiliazione di essere rifiutato, ma rischio anche qualche schiaffo. È per questo che ho iniziato ad uscire con le ragazze piccoline, così lo schiaffo è incassabile. Quando uscivo con donne più alte e più piazzate, ho rischiato di farmi male un paio di volte. Estranee a ogni considerazione di questo tipo sono quelle ragazze, poche fortunatamente, che ti attaccano con la più vile delle ginocchiate orchiclastiche”. “Non ti seguo più”. “Forse perché non conosci la storia del dirupo”. “Eh?” “Quello che volevo dire, in sintesi, è che tu sai che siamo entrambi ‘propensi’ a… e io no. Quindi per me è un rischio, per te una scommessa sicura. Sei tu ad averci messo troppo tempo”.
Silenzio.
“Teoria interessante, sai che forse hai ragione?”

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